Non solo la salute, ma anche vita di ogni giorno. Perché la malattia stravolge il quotidiano, modifica per sempre le certezze sulle quali si costruisce il proprio progetto. Così, per chi assiste un malato di Aids l’obiettivo più difficile non è tanto quello di contenere i sintomi della sindrome, ormai in larga parte controllabili grazie agli sviluppi della medicina, quanto quello di restituire un futuro a chi con l’Aids ci convive ogni giorno.
“Siamo passati da un servizio di 'accompagnamento alla morte', nel corso del quale eravamo per forza di cose limitati all’assistenza per il trasporto in ospedale e al supporto nei bisogni quotidiani, a un sostegno a tutto tondo, con l’obiettivo per l’assistito di riprendere contatto con la vita”, racconta a Osa News Pino Taddeo.
Lo psicologo da oltre un ventennio si occupa per la Cooperativa Osa di assistenza ai malati Aids. Un lavoro che la Cooperativa comincia nel 1990, nel picco di emergenza che ha portato al varo della legge 135 del 5 giugno dello stesso anno.
In due decenni, Il servizio di assistenza domiciliare per malati di AIDS è mutato considerevolmente, seguendo di pari passo le novità in campo medico scientifico. Lo 'spartiacque' è nel 1996. A partire da quell’anno, con l'arrivo della terapia Haart l'aspettativa di vita è aumentata vertiginosamente, mentre nei primi anni '90 era solo di una manciata di mesi. Prima, gli operatori erano notevolmente impegnati da un punto di vista professionale e emotivo: in mancanza di terapie efficaci, il servizio si limitava all'intervento e al supporto quotidiano, in attesa di una morte inevitabile.
La seconda fase del servizio per malati di AIDS è quindi scattata a fine anni '90, dopo l’avvento dell’Haart. Tutto, a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio, è cambiato radicalmente: da casa-centrico si è evoluto in una collaborazione per il recupero delle potenzialità della persona. Il malato di AIDS, grazie alle nuove terapie, vive di più e ha diritto a vivere sfruttando a pieno le proprie potenzialità. “Lo schema di azione che attuiamo insieme agli altri professionisti di Osa – spiega Taddeo -, adesso punta proprio sull'integrazione tra l'aspetto sociale e sanitario: in altre parole, si tratta di sostenere le persone malate di AIDS sul piano medico ma anche e soprattutto emotivo”.
“Le persone che abbiamo oggi in carico – continua lo psicologo – sono per la gran parte autonome, quindi il nostro intervento si è modificato rispetto al passato. Oggi collaboriamo con tutti i servizi sul territorio per cercare di recuperare tutte le potenzialità della persona, con un occhio ad un eventuale reinserimento nel lavoro, ma anche e soprattutto per fornire un sostegno in un percorso di recupero della socialità dei legami familiari e sociali”.