L'Hiv rappresenta ancora una seria minaccia ma negli ultimi anni troppe persone stanno abbassando la guardia consentendo all’infezione di diffondersi, con diagnosi sempre più tardive. Dal 22 al 29 novembre verrà celebrata la settimana della prevenzione, per riportare in alto l’attenzione su problema fin troppo trascurato. Pino Taddeo, psicologo che da oltre un ventennio si occupa per la Cooperativa Osa di assistenza ai malati Aids, ci ha aiutato a fare il punto sulla situazione.
“La Cooperativa Osa – ha ricordato Taddeo – è attiva nella prevenzione ormai dagli inizi degli anni ’90. In quell’epoca siamo stati promotori, a Roma, dell’aggregazione di molte organizzazioni che si occupavano, come noi, dell’assistenza domiciliare ai malati di Aids. Di quel gruppo facevano parte anche altre Cooperative che hanno deciso di formare un organo di coordinamento degli sforzi di prevenzione del contagio da Hiv. La nostra azione ha ricevuto il riconoscimento ufficiale da parte del Comune di Roma che ha formalizzato il nostro ruolo come operatori sul territorio. Da allora la situazione è piuttosto cambiata, con iniziative, soprattutto istituzionali, sempre più rarefatte”.
Nel 2012 nel nostro Paese sono stati segnalati quasi 4000 nuovi casi di infezione da Hiv. In otto casi su 10 si tratta di persone di sesso maschile. Le statistiche parlano di 6,5 nuovi casi ogni 100.000 abitanti. Se quantitativamente i numeri non si discostano in maniera significativa rispetto a quelli registrati negli ultimi cinque anni, una variazione degna di nota è avvenuta per quanto riguarda l’aumento dell’età media in cui si arriva alla diagnosi. In questo campo si è passati dai 25 anni del 1985 ai 36-38 del 2012. Un’altra importante segnalazione è arrivata dalla modifica delle modalità di trasmissione che hanno visto diminuire la proporzione dei tossicodipendenti ma aumentare i casi contagio per via sessuale. I dati sono stati elaborati dal Centro operativo Aids (Coa) dell'Istituto superiore di sanità e pubblicati sul sito delMinistero della Salute.
Quello che preoccupa in questi anni è soprattutto la caduta del livello di attenzione sulla malattia. “Nell’ultimo periodo – ha osservato Taddeo – alcune fasce di popolazione si stanno esponendo a pesanti rischi. Mi riferisco soprattutto ai giovani intorno ai 20 anni, che non hanno vissuto la fase in cui le campagne di informazione erano martellanti e incisive. I ragazzi, troppo spesso, ignorano il rischio di contagio. Questo li porta, di conseguenza, a non fare nemmeno il test dopo eventuali comportamenti a rischio, soprattutto sessuali. Questo fenomeno è osservabile anche tra gli eterosessuali over 60 che, erroneamente, si considerano al riparo dai pericoli. La conseguenza di questo scenario è la mancata diagnosi precoce della malattia che viene riconosciuta solo quando, ormai, è arrivata alla fase conclamata, diventando molto meno controllabile”.