“Assistere persone che soffrono di disturbi psichiatrici è un lavoro complesso, che comporta un forte coinvolgimento emotivo e che, inevitabilmente, influenza anche la propria vita”. È con queste parole che Maria Angelicchio, la coordinatrice della Comunità Riabilitativa Assistenziale Psichiatrica (CRAP) Oasi di Vico del Gargano, in provincia di Foggia, ci racconta la sua esperienza professionale iniziata nel 2000 come educatrice.
È proprio in questo periodo, tra il 1999 e il 2000, a seguito della chiusura dei manicomi, che nascono le comunità residenziali psichiatriche per favorire il reinserimento sociale di chi, per decenni, ha vissuto in un contesto istituzionalizzato.
La gestione delle comunità, inizialmente, fu affidata a piccole cooperative locali dove era forte la compresenza da parte della Asl di competenza attraverso il Centro di Salute Mentale (CSM).
È nel 2001 che la Cooperativa OSA prende in carico la gestione delle due CRAP foggiane a San Nicandro Garganico e a Vico del Gargano.
“Le CRAP – ci spiega la coordinatrice – accolgono persone con disturbi mentali e comportamentali in fase di acuzie e subacuti. In ogni struttura ospitiamo massimo 14 utenti per creare un ambiente intimo, famigliare, accogliente in cui i nostri ospiti possano sentirsi a proprio agio. I soggetti possono essere psicotici, schizofrenici o borderline con personalità disturbata. Agiamo sulle residue risorse personali del paziente attraverso interventi di tipo sociale, sanitario e psico-educativo”.
Le attività in cui sono coinvolti gli utenti sono di I e di II livello. Le prime sono basate sulla quotidianità, sul fare insieme, sulla cura del sé, degli spazi, del tempo libero; sui laboratori ludico-ricreativi. Le attività di II livello riguardano l'arte terapia, la musicoterapia e la teatro terapia.
“Il nostro è un lavoro di squadra – afferma sorridendo Maria -. Il mio compito è quello di coordinare le diverse figure professionali presenti che, oltre alle proprie competenze, mettono in campo ogni giorno umanità, passione ed entusiasmo. In una parola il loro cuore. In qualità di coordinatrice mi occupo anche di gestire il rapporto con gli enti territoriali e con la Cooperativa stessa”.
Alle attività di I e di II livello si aggiungono gli interventi riabilitativi di tipo medico-infermieristico dove “cerchiamo – prosegue la coordinatrice – di rendere l'assistito consapevole del proprio stato patologico per favorire una compliance farmacologica”. Gli interventi di tipo psicologico e psichiatrico hanno, invece, un duplice obiettivo: “Pedagogico perché devono insegnare al paziente qualcosa e terapeutico per favorire la motivazione al cambiamento, guidare alla soluzione del problema. Attraverso le diverse attività terapeutiche riabilitative si favorisce il consolidamento delle funzioni dell'io, della comunicazione e del rapporto con l'esterno”.
Il piano prevede anche momenti dedicati alla socializzazione. “Organizziamo, in estate, un soggiorno vacanze per portare i nostri assistiti fuori dal contesto abitativo. Durante l'anno li coinvolgiamo con gite, picnic all'aria aperta, andiamo nelle fattorie didattiche per facilitare il contatto con il mondo esterno. La tipologia di utenti non è molto omogenea e quindi abbiamo la necessità di organizzare attività differenziate, a seconda dei casi. Per gli utenti stessi è terapeutico che i tempi e gli spazi delle attività siano ben definiti e strutturati, imparano anche in questo modo a scandire le proprie giornate”.
Una volta concluso il percorso riabilitativo della durata di 18 mesi, gli utenti escono dalla comunità per tornare a vivere in famiglia qualora ne abbiano una. In caso di assenza di genitori o di parenti che possano prendersene cura, vengono affidati alla casa famiglia o alla casa per la vita. Oppure rimangono presso la CRAP per altri 18 mesi, con il rischio dell’istituzionalizzazione del paziente, come avveniva nei manicomi.
“Il problema reale è che queste strutture di seconda accoglienza esistono sono sulla carta ma in realtà la Regione Puglia non è ancora in grado di offrire una sistemazione adeguata a queste persone. E quindi in molti casi l’unica soluzione è quella di proseguire il percorso di recupero con noi.
Il nostro lavoro è un vivere insieme, ascoltare l’altro e comprendere i suoi bisogni. A volte, anzi spesso, ricopriamo anche un ruolo genitoriale laddove la famiglia non c’è oppure ha fallito nel proprio compito di guida e sostegno. Ogni paziente viene accolto e mai giudicato. Non rientra nelle nostre competenze intervenire sul contesto familiare, territoriale. Per questa ragione è difficile poter raccontare storie a lieto fine. Per noi è un traguardo riuscire a far sentire amati, accolti, protetti i nostri ospiti, a renderli autonomi sfruttando al massimo le loro potenzialità, fornendo loro gli strumenti per essere più sereni e inseriti nella società in cui vivono”.