Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità intervistato nell’inchiesta speciale Controcorrente pubblicata dal Giornale: L’occasione offerta dal PNRR di riformare la sanità non può essere sprecata

Lunga intervista al presidente Giuseppe Milanese nell’inchiesta speciale “Controcorrente” pubblicata questa mattina dal Giornale: «Ai nostri anziani serve un’assistenza ritagliata su misura sulle loro reali esigenze. L’occasione offerta dal PNRR di riformare la sanità non può essere sprecata, perché altrimenti cadremmo in un baratro che i nostri anziani e noi, che saremo anziani domani, non meritiamo».

Di seguito il testo integrale.

Durante l’estate, come in tutti i periodi di vacanza, si ripropone il problema della gestione degli anziani non autosufficienti, una situazione difficile da gestire per le famiglie…

L’estate è un fattore che evidenzia e aggrava un problema che non è stagionale ma, purtroppo, permanente. Nel nostro Paese abbiamo 14 milioni di anziani, cioè di persone che hanno superato la soglia dei 65 anni, pari a pressoché un quarto della popolazione totale: di questi, quasi 4 milioni presentano una condizione di non autosufficienza, poiché affetti da malattie croniche. Un milione vive peraltro in solitudine. Il 50% degli anziani non autosufficienti non gode né di assistenza sanitaria, né di assistenza sociale. Sono cifre che dovrebbero spaventarci, perché segnano un gap importante rispetto agli standard di civiltà raggiunti in quasi tutti gli altri Paesi europei occidentali. In soldoni significa che negli ultimi decenni l’Italia ha valutato gli anziani fragili come «scarto», per usare una definizione cara a Papa Francesco. Nei mesi estivi, complice l’abnorme ondata di caldo, il problema dell’assistenza a questa fascia di popolazione si acuisce, impegnandoci alla responsabilità morale e materiale di farcene carico seriamente e una volta per tutte.

La non autosufficienza, oltre a peggiorare le condizioni di vita nella quotidianità, porta con sé anche un grave problema economico e di impatto sugli ospedali anche per problemi risolvibili a casa?

È esattamente l’altra faccia di una medaglia che dovremmo vergognarci di aver appuntato sul bavero. L’unico orizzonte per chi è nelle condizioni di bisogno sanitario è l’ospedale, istituzione sacrosanta che tuttavia patisce una duplice situazione di difficoltà. Da un lato i tagli progressivi che ne hanno via via depotenziato l’efficienza, dall’altro la sperequazione tra le regioni e in particolare tra il Nord e il Sud del Paese. Rivolgersi al Pronto Soccorso o ai reparti di medicina anche per affrontare le cronicità ha come evidente conseguenza quella di gravare sul sistema tanto sul piano economico, e non è più sostenibile, quanto su quello pratico, ingolfandolo e quindi peggiorandone il funzionamento complessivo. La soluzione c’è ed è quella di organizzare una rete mettendo a sistema gli attori della salute che hanno svolto fin qui un ruolo sussidiario al Servizio Sanitario Nazionale: mi riferisco ai medici di medicina generale, alle farmacie dei servizi, alle cooperative sociosanitarie che innervano stabilmente l’intero territorio nazionale e possono garantire quel continuum assistenziale che può rivelarsi provvidenziale ai nostri anziani.

RSA o assistenza domiciliare: qual è secondo lei la cura migliore?

Non è giusto porre in antitesi due sistemi, quello residenziale e quello domiciliare che, in un modello finalmente evoluto, è sensato che siano complementari e cioè parimenti necessari a erogare un sistema di assistenza primaria – vale a dire di cure fuori dall’ospedale – efficace ed efficiente. Certamente, anche dopo le immani tragedie o gli scandali a cui abbiamo assistito, la concezione della RSA va ripensata o comunque adeguata ai tanti modelli virtuosi presenti in Italia. Le residenze monstre, dimensionalmente enormi, simbolo anche di una distanza umana tra assistenti e assistiti, non hanno ragion d’essere, ammesso che ne abbiano mai avuta. Una RSA deve poter surrogare la casa ma anche il calore e la premura che una casa esprimono. Occorre realizzare una prospettiva in cui il sistema residenziale venga riformato e omologato e il sistema di assistenza domiciliare sia adeguatamente esteso, passando dagli attuali 300mila assistiti per 12 ore l’anno ad almeno un milione presi in carico per 20 ore al mese. Queste condizioni permetteranno di offrire all’anziano non autosufficiente una risposta sartorializzata sulle sue reali esigenze di salute, a casa finché può, in una RSA o in un centro diurno quando è necessario. È il cosiddetto continuum assistenziale la soluzione più congrua.

Con la Legge sugli anziani approvata a fine marzo cosa cambierà?

L’attuale Governo ha colto l’urgenza di intervenire su un problema annoso, evidenziato ed anzi aggravato dalla pandemia. La risposta è stata pronta e concreta, aprendo alla stipula di un nuovo patto sociale che restituisce dignità ad una generazione fin qui negletta e prevedendo una riforma del sistema sanitario che implementa l’assistenza primaria con una funzione di pari utilità rispetto a quella ospedaliera. Siamo tuttavia ancora in una fase di incertezza, sospesi tra la soddisfazione per aver posto una premessa tanto importante e il timore che un piano necessario all’Italia possa non realizzarsi o diventare una delle tante incompiute, come spesso accaduto nella nostra Storia.

Cosa manca per renderla attuativa?

Mancano, appunto i decreti attuativi, ovvero gli strumenti finanziari e anche progettuali che trasformino le buone intenzioni in buone opere. Il tempo stringe, entro gennaio del prossimo anno occorrerà individuare le risorse che coprano un piano tanto ambizioso a medio e anche a lungo termine, per evitare di scoprire nel prossimo futuro che la coperta era troppo corta. C’è, tuttavia, un’altra questione che, pur ampiamente dibattuta, sembra essere considerata secondaria: quella del personale necessario all’assistenza extraospedaliera, anche in riferimento ai costruendi ospedali e case di comunità. Vanno formati a stretto giro operatori in grado di assistere le persone nelle loro case e penso ad una formazione tecnica ma anche vocazionale. Accanto al medico e all’infermiere, professionisti insostituibili nelle cure domiciliari, è necessario professionalizzare l’operatore socio-sanitario (OSS) con una formazione complementare ad hoc, operazione che oltre a colmare la carenza di personale, originerà nuove occasioni di lavoro per i nostri giovani.

Quali opportunità arrivano dal PNRR?

Noi confidiamo nella intelligenza pragmatica del Ministro Fitto, al quale abbiamo proprio recentemente consegnato un documento che potrà essergli utile per realizzare un modello di presa in carico domiciliare continuativa, che garantisca mediamente 15-20 ore al mese di assistenza per ciascun utente trattato, attraverso un mix di interventi di profilo sanitario, sociosanitario e sociale, gestiti da soggetti accreditati in grado di erogare in modo organico ed integrato i servizi. Per dirla con uno slogan: la casa come primo luogo di cura e come alternativa al percorso ospedaliero. L’occasione offertaci dall’Europa è, per l’appunto, un’occasione: che, come tale, può essere colta e portare benefici agli italiani o può andare sprecata. In questo caso, non resteremmo fermi al punto – già disgraziato – in cui siamo, ma capitoleremmo in un baratro che i nostri anziani e noi, che saremo anziani domani, non meritiamo.

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