È arrivata in Italia dal Congo, a 26 anni, spinta dalla sua fede e dalla voglia di conoscere Roma, la città dei Papi. La differenza tra la realtà dove è cresciuta e la nostra, per lei, non poteva essere più abbagliante. “Venire in Italia è stato come nascere di nuovo”, dice Mukaseme Mabenge. Per lei, che oggi di anni ne ha 45 anni e fa l’infermiera, l’impatto con il nostro Paese è stato molto particolare: “Uno dei primi giorni in Italia – racconta – un Carabiniere mosse la mano verso di me. Era un semplice gesto di saluto, ma ne fui terrorizzata.
Nel mio Paese, quando vedevi un militare armato scappavi, ti nascondevi nella foresta e pensavi che era meglio rischiare di essere morsa da un serpente che essere catturata. Lui fece un grande sorriso e mi disse non c’era nulla di cui aver paura, qui la guerra non c’era. Detto ora può sembrare banale ma allora fu come un’illuminazione”.
La scelta di lasciare il Congo, per Mukaseme, è maturata alla fine degli anni Novanta, quando decide di diventare infermiera. Arrivata a Roma, Mukaseme ha intrapreso nel 2002 gli studi alla Sapienza e nel 2006 ha conseguito la laurea in scienze infermieristiche. Dopo un anno passato a lavorare in Val d’Aosta è tornata a Roma e ha iniziato a lavorare nella cooperativa Osa. “Li conoscevo dai tempi dell’Università, quando gli studenti più grandi di noi, una volta laureati, si rivolgevano a loro per trovare lavoro. Erano una grande realtà della sanità, tutti li conoscevano”.
Da allora Mukaseme lavora al Policlinico Umberto I, al reparto di Neuropsichiatria infantile, dove sebbene non abbia figli, si sente madre di tutti quei bambini cui ogni giorno presta le sue cure. “Sul lavoro mi occupo anche dei genitori di questi piccoli pazienti. Quando la gioia di mettere al mondo un figlio – aggiunge – è spezzato da una malattia, il dolore dev’essere insopportabile. È in questi casi che il lavoro di infermiera chiama in causa una forte componente umana. Bisogna essere forti, incoraggiare i bimbi e i genitori”.
Lavorare al Policlinico Umberto I vuol dire anche confrontarsi con un’altissima percentuale di pazienti di origine straniera, che spesso oltre al disagio della malattia devono superare gli ostacoli dovuti a lingua e cultura diverse, difficoltà che Mukaseme conosce bene. Il suo percorso di inserimento, però, è stato facilitato dalla Cooperativa: “Non esagero se dico che per me Osa è stata come una madre o un padre, specie nel periodo in cui sono stata malata o in difficoltà”.
Dopo quasi dieci anni lontana dal suo terra di origine finalmente Mukaseme avrà la possibilità di tornare per un breve periodo e rivedere sua madre. “Lei ancora non ci crede – dice contenta –. Anche se sto benissimo qui, un giorno vorrei avere abbastanza denaro per poter tornare in Congo e far vedere agli altri le cose che ho imparato qui. Nel mio Paese le infermiere svolgono piccole mansioni, semplicissime. Mi piacerebbe far capire quanto sia importante questo ruolo all’interno di un ospedale. Un’infermiera può svolgere un lavoro importantissimo per medici e pazienti”.