Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, interviene sul nuovo numero di dicembre di Panorama della Sanità: “Il numero potrebbe crescere ancora con la «R» di risorse umane, che rappresenta la necessità inderogabile di formare una figura intermedia tra OSS e infermiere, specializzandola e qualificandola sul versante dell’assistenza domiciliare; e con quella di rischio, pericolo per cui, giocando al tiro alla fune sugli investimenti, si potrebbe dilapidare l’irripetibile occasione rappresentata dal PNRR”

Ammesso che non si tratti di coerenza e che invece qualcuno riscontri un problema funzionale (la coazione a ripetere, nel caso), sono perfettamente consapevole di andar dicendo da molti anni a destra e manca gli stessi tre o quattro concetti. In particolare, cercandone la riprova documentale, il cosiddetto «paradigma delle 5R» risponde alla ricerca su Google fin dal 2014 e capisco che l’assillo – nelle sedi della cooperazione sociosanitaria, sui media di massa, nei confronti con gli interlocutori istituzionali – può risultare stucchevole.

E tuttavia resto ragionevolmente convinto che la questione non si risolva in una diagnosi psicanalitica. La formula sintetica secondo cui attraverso una regia unica, regole condivise, reti, rigore e ruoli definiti si possa ed anzi si debba ripensare l’assistenza primaria è quanto mai attuale. Vorrei anzi dire: cogente, costretti a riformare la dimensione della salute dall’esperienza tuttora viva della pandemia.

Il tavolo dell’analisi non è affatto sgombro: i Governi centrali che si sono avvicendati dall’aggressione del Covid hanno variamente apparecchiato provvedimenti e indirizzi; diversi organismi parlamentari o subgovernativi hanno prodotto documenti e attività quanto mai preziosi; la stessa opinione pubblica ci ha messo del suo. Forse allora è giunto il momento di un bilancio: a che punto è il Paese rispetto al quadro definito dalle 5R? I segnali raccolti sembrano incoraggianti.

Sulla regia unica per l’assistenza primaria insistono le migliori premesse per un cambio di passo. Il Covid ha infatti messo a nudo i bisogni ed il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza stanzia risorse congrue per finanziare una riforma della sanità di territorio che enfatizza il domicilio come primo luogo di cura. In particolare, la “Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria alla popolazione anziana” voluta dal Ministro Speranza, sulla base di questi presupposti, ha elaborato una proposta di riassetto complessivo del sistema che va nel senso da noi indicato.

Si parla finalmente di una Cabina di regia nazionale incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’assistenza primaria e di una legge delega per la riforma dell’assistenza rivolta agli anziani ed ai più fragili. Risultati rilevanti anche sul versante delle regole, soprattutto per la frontiera rappresentata dall’assistenza domiciliare. Il Comma 406 della Legge di Bilancio 2021, che ha esteso il regime delle «3 A» alle cure domiciliari, e l’intesa in Conferenza Unificata Stato-Regioni del 4 agosto, che detta i requisiti per l’autorizzazione e l’accreditamento delle stesse, dovrebbe aver messo la parola «fine» (DdL Concorrenza permettendo…) al sistema degli appalti nell’area della domiciliarità.  Stop alle gare imposte sulla logica del ribasso, a favore di meccanismi fondati su una competizione orientata alla qualità, che garantisce ai cittadini libertà di scelta e omogeneità del servizio rispetto ad un corpus di requisiti validi in tutte le regioni.

Passi significativi sono stati consumati anche in termini di riconoscimento del ruolo dell’impresa cooperativa in sanità. Negli anni passati la cooperazione si è affrancata da una narrazione che la configurava come impresa ancillare e subordinata al sistema pubblico, la cui unica attribuzione era fornire prestazioni a costi ribassati. Essa invece ha raccolto la sfida di porsi quale soggetto imprenditoriale in grado di sviluppare, in una prospettiva sussidiaria, collaborazioni e sinergie con la parte pubblica, con pari dignità rispetto agli altri soggetti privati, rappresentando, spesso, anche un volano di innovazione organizzativa e gestionale. Non si può tuttavia trascurare il persistere, in alcune forze politiche e spazi istituzionali, di una visione statalista del SSN, che confonde il pubblico con lo statale, che pensa di risolvere i problemi del nostro modello di welfare re-internalizzando i servizi a colpi di maxiconcorsi e che relega il contributo del privato (se proprio necessario) ad un ruolo marginale.

Luci ed ombre anche sul fronte delle reti assistenziali. Se da una parte, infatti, nel dibattito c’è ormai piena consapevolezza della necessità di animare il territorio strutturando network integrati e multiprofessionali, dall’altra c’è il rischio che le risorse del PNRR impiegate per finanziare case ed ospedali di comunità rappresentino un clamoroso spreco di soldi. Tralasciando il problema della governance di tali presidi, appare francamente contraddittoria l’idea che si possa fare rete (modello organizzativo capillare) concentrando professionisti e servizi in strutture puntiformi sul territorio. La soluzione, in questo senso, può arrivare dalla cooperazione che, mettendo insieme la farmacia dei servizi, la medicina generale aggregata, la specialistica, la diagnostica e le reti sociosanitarie (RSA, ADI, centri diurni) offre un prototipo di “casa di comunità” inteso come luogo immateriale e diffuso e non in meri termini di struttura fisica.

Infine, un ragionamento sul rigore della misurazione. Da una parte è essenziale raffinare gli strumenti e le metriche per la valutazione multidimensionale del bisogno del paziente, condizione essenziale per la definizione di piani assistenziali efficaci e per la corretta modulazione del percorso assistenziale. Dall’altra c’è bisogno di impegnarsi più a fondo affinché la cultura della performance permei il SSN, dando vita a servizi fortemente orientati al risultato; ancora troppo timidi sono stati i passi verso l’adozione di modalità cogenti di misurazione della soddisfazione dell’utenza, della performance organizzativa e, soprattutto, degli outcome di salute.

Non per indulgere alla psichiatria, ma il numero delle «R» potrebbe crescere ancora: con la «R» di risorse umane, che rappresenta la necessità inderogabile di formare una figura intermedia tra OSS e infermiere, specializzandola e qualificandola sul versante dell’assistenza domiciliare; e con quella di rischio, pericolo per cui, giocando al tiro alla fune sugli investimenti, si potrebbe dilapidare l’irripetibile occasione rappresentata dal PNRR.

Giuseppe Maria Milanese

Scarica e leggi l’articolo pubblicato su Panorama della Sanità di dicembre

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