12A12: è questo il nome dell’anticorpo monoclonale, nato dalla ricerca condotta dall’Istituto di Farmacologia Traslazionale del Consiglio Nazionale delle Ricerche e Fondazione EBRI– Istituto Rita Levi Montalcini con il supporto di OSA, che apre nuove frontiere sia nella diagnosi precoce che nel trattamento terapeutico della malattia di Alzheimer, una patologia neurodegenerativa responsabile dell’80% delle demenze nel mondo.
I risultati dello studio, condotto su topolini transgenici che simulano la malattia e pubblicato sulla prestigiosa rivista Brain Communication, sono il frutto di dieci anni di attività di ricerca nell’ambito di un accordo EBRI-CNR finalizzata allo studio dei meccanismi patologici che inducono un’alterazione di Tau, una proteina importante per il corretto funzionamento dei neuroni e del cervello. Il team, coordinato dal Prof. Pietro Calissano, collaboratore di Rita Levi Montalcini e co-fondatore con la scienziata dell’EBRI, aveva precedentemente identificato un piccolo frammento tossico della proteina che si accumula nelle sinapsi dei pazienti affetti portando all’insorgenza e allo sviluppo del morbo di Alzheimer.
“La degradazione della proteina Tau è uno dei marcatori biologici dell’Alzheimer”, spiega Giusy Amadoro, group leader presso il CNR e autrice del lavoro svolto insieme alla Dott.ssa Valentina Latina, ricercatrice finanziata da OSA nell’ambito della collaborazione tra la Cooperativa e EBRI. “Quando la proteina Tau viene degradata in maniera anomala rilascia un peptide tossico. Il nostro team ha sviluppato un anticorpo in grado di riconoscere e legare specificatamente questo target tossico risparmiando la proteina funzionale da cui deriva”. L’anticorpo 12A12 funziona come se fosse una specie di “missile intelligente”, per dirla con le parole del prof. Pietro Calissano, “poiché neutralizza questo parte dannosa della proteina Tau senza comprometterne la funzionalità”.
La molecola 12A12, riconosciuta anche dall’Ufficio Europeo dei brevetti, ha dimostrato un potente effetto neuroprotettivo in fase preclinica su animali di laboratorio. “Abbiamo iniettato per vena caudale l’anticorpo in due diversi modelli animali che replicano l’Alzheimer e, nel corso della sperimentazione, ne abbiamo riscontrato un miglioramento delle capacità di apprendimento insieme ad una riduzione dell’accumulo cerebrale di amiloide e dell’attivazione del processo infiammatorio, due altri marcatori tipici della malattia”. Attualmente sono in corso studi per verificare l’eventuale presenza del peptide nella retina dei topolini affetti da Alzheimer, dal momento che l’occhio è un tessuto nervoso periferico di diretta estensione del cervello. “I risultati preliminari sono molto promettenti” afferma la dott.ssa Latina “e prospettano l’anticorpo 12A12 come un importante strumento per una diagnosi precoce e non invasiva della malattia a partire dall’ispezione dell’occhio”.
La ricerca, oltre ad avere importanti implicazioni per la cura dell’Alzheimer e per le altre malattie strettamente connesse alla proteina Tau, può avere anche interessanti risvolti nella raccolta amnestica dei pazienti che si sottopongono ad indagine clinico epidemiologica per il Covid-19. In questo contesto, si prospetta di investigare le possibili correlazioni fra i danni neurologici, che colpiscono un certo numero di pazienti con Covid-19 e l’instaurarsi di patologie Alzheimer-simili eventualmente trattabili con anticorpi specifici come il 12A12.
“Il progetto nasce un anno e mezzo fa quando, in occasione dell’iniziativa del Villaggio Alzheimer’s in Sicilia, incontrammo Mario Sanfilippo, direttore commerciale di OSA”, racconta il prof. Pietro Calissano, “in quella circostanza presentammo i dati sperimentali che sono i risultati di una lunga indagine sull’impiego dell’anticorpo anti-tau 12A12. A seguito di quell’incontro abbiamo gettato le basi per una futura collaborazione che si è tradotta nel concreto supporto finanziario di OSA alla ricerca condotta dalla dott.ssa Amadoro e dalla dott.ssa Latina. Siamo molto grati alla Cooperativa e al dott. Sanfilippo che hanno appoggiato il lavoro di CNR-EBRI che sta aprendo prospettive molto promettenti per l’estensione della nostra ricerca di base alla sua applicazione clinico-diagnostica”.