L’intervento del presidente Giuseppe Milanese sul mensile Panorama della Sanità
Il re è nudo e, forse per la prima volta, a gridarlo non è un portatore di interessi più o meno legittimi, non è un soggetto direttamente coinvolto nell’erogazione di salute, ma un folto numero di docenti universitari, studiosi indipendenti, trasversali per residenza accademica e appartenenza ideale.
Il documento elaborato da 42 esponenti dei maggiori istituti di ricerca e atenei italiani è in sintonia con tante prese di posizione assunte da Confcooperative Sanità e lo testimoniano le decine di interventi pubblici o editoriali degli ultimi 15 anni, molti dei quali pressoché sovrapponibili all’analisi e alle tesi proposte dal testo. Pressoché: perché, nella nostra valutazione, è mancante di un segmento di azione piuttosto significativo.
Siamo usciti malconci dall’urto del Covid-19, ma anche disorientati: perché, in cuor nostro, all’esito di quella tragedia epocale, avevamo auspicato una soluzione, una riforma radicale del sistema che ci tutelasse da nuove emergenze. E che ristrutturasse lo stato delle cose, come si fa quando una casa, soggetta all’usura del tempo, non è manutenuta per mezzo secolo, rendendo il SSN capace di prendere in carico le fragilità sociosanitarie sempre più diffuse. Anche il dibattito pubblico, quello delle istituzioni e della comunità nazionale, aveva incoraggiato a confidare. E invece ci troviamo oggi con il medesimo carico di problemi di sempre, forse aggravato dalle evidenze – il fuggi fuggi generale dei medici dal pubblico, l’aggressione degli speculatori, la mancanza di una visione di sistema, le disuguaglianze di salute e di accesso alle prestazioni – e una popolazione sempre più anziana e afflitta da patologie elusa dalla presa in carico dello Stato.
La schietta radiografia di qualunque onesto analista rileva una frattura sociale drammatica, la peggiore per un servizio pubblico che nasce come equo, universale, solidale: quella tra chi può permettersi le cure e chi non riesce (circa 4,5 milioni secondo il Rapporto ISTAT BES 2023) per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso.
Questa diagnosi dovrebbe bastare da sola a spingerci verso un grande patto nazionale e a un progetto definitivo e definitivamente efficace.
Mi riferisco ad un piano di riforma che metta ordine nel disordine, che allarghi il reclutamento delle risorse professionali, che pareggi le disparità regionali, che assegni all’ospedalità le acuzie e alla territorialità le cronicità, che abbatta le liste di attesa senza fare il gioco delle tre carte, che metta in rete medici di medicina generale (possibilmente senza trasformarli in dipendenti statali), farmacie di servizi, strutture sanitarie e sociosanitarie attribuendo a ciascun soggetto la giusta dignità in una prospettiva di collaborazione sussidiaria con il SSN.
Nella condivisibile disamina dei 42, si omette di menzionare tuttavia proprio quest’ultimo aspetto che consideriamo dirimente, non foss’altro perché il principio di sussidiarietà orizzontale, introdotto con la riforma del Titolo V, rappresenta un elemento di innovazione costituzionale che ha ridisegnato su base paritaria il rapporto tra Stato e capacità di iniziativa della società civile. Solo se il SSN accantonerà le mai sopite tentazioni stataliste valorizzando l’apporto di soggetti votati all’interesse generale, come quelli dell’economia sociale, sarà in grado di incanalare nel nostro sistema di welfare sanitario forze fresche, flessibili, predisposte all’innovazione e che spesso agiscono in un’ottica non speculativa, come nel caso specifico del Terzo Settore. Il potenziale sussidiario dell’economia sociale, tra l’altro, si esplica sia sul fronte dell’offerta sanitaria ma anche su quello, meno dibattuto, del governo della spesa sanitaria privata.
Sul primo versante si pensi che, pur considerando le sole imprese cooperative (che non esauriscono il fenomeno dell’economia sociale, sebbene ne rappresentino la declinazione imprenditoriale per eccellenza), esse rappresentano un terzo del complesso delle imprese attive nel settore sanitario, ma rappresentano i due terzi del lavoro privato nel settore sanitario, con 327mila operatori. Inoltre, presidiano le periferie del sistema, sia in termine figurato che sostanziale: dove le prime sono le cure domiciliari rivolte agli anziani fragili, ma anche le strutture residenziali e semiresidenziali per non-autosufficienti, per soggetti con problematiche psichiche o di dipendenze, per le persone disabili; le seconde sono le aree interne depauperate di servizi.
In entrambi i casi sono le cooperative a presidiare in netta prevalenza quei servizi e quelle aree geografiche. In soldoni, senza l’apporto sussidiario della cooperazione, l’esigibilità dei LEA per queste persone nelle suddette aree sarebbe una chimera.
C’è poi il secondo aspetto, che si fa sempre più tangibile, circa il ruolo che gli enti della sanità integrativa, di matrice mutualistica e sussidiaria, possono esercitare nel governo della spesa privata e nella gestione della domanda in un’ottica integrata con la copertura garantita dal sistema pubblico. In questo senso condividiamo su tutta la linea il terzo principio del documento dei 42: il SSN deve promettere ciò che può mantenere. Serve dunque un’operazione verità volta a perimetrare le aree di bisogno e i connessi servizi su cui si intende focalizzare le risorse pubbliche a disposizione, incentivando forme di copertura sussidiaria per quelle aree che rimarranno, del tutto o in parte, escluse. Non si parte da zero, già 16 milioni di italiani sono iscritti a Fondi sanitari integrativi; ora è compito della politica ma anche nostro, in qualità di corpi intermedi che si occupano della rappresentanza di tali soggetti, operare affinché non si replichino gli stessi errori che affliggono il SSN in termini di inappropriatezza, prestazionismo, frammentazione degli interventi.
Un’azione di rafforzamento e di integrazione della sanità mutualistica in una logica di sistema è sensata nella misura in cui essa restituisce senso alla domanda di salute, incidendo in quei settori di presa in carico in cui il sistema stesso è debole: mi riferisco alla Long Term Care degli anziani, alla neuropsichiatria infantile, alla salute mentale, al disagio a partire dalle fasce giovanili e a tutta l’area della prevenzione.
Parliamo di servizi che, rispetto alla richiesta di specialistica e diagnostica potrebbero sembrare marginali, ma che rappresentano invece vaste aree di bisogno in continua crescita e, com’è noto, la coesione sociale di un Paese si misura proprio dalla salute delle proprie periferie.
Giuseppe Maria Milanese – Presidente Confcooperative Sanità