Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità è stato intervistato dal Quotidiano del Sud sui temi di stretta attualità sanitaria. “Necessario potenziare l’assistenza territoriale”

Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità è stato intervistato dal Quotidiano del Sud sui temi di stretta attualità sanitaria. “Necessario potenziare l’assistenza territoriale”

«Siamo un Paese che ha abbandonato i propri anziani» dice Giuseppe Milanese, medico infettivologo e presidente di Confcooperative Sanità, in prima linea per risolvere un problema come quello degli anziani non autosufficienti.

Presidente, in queste vacanze di Natale abbiamo letto dei pronto soccorso presi d’assalto. Ci sono stati ulteriori problemi per i nostri anziani?

«Le vacanze acuiscono le cose belle e le cose brutte. Gli anziani soli sono sempre più soli. Chi ha una compagnia e una protezione familiare continua a riceverla. Insomma, la situazione è cristallizzata».

Ci faccia una fotografia dello stato dell’arte…

«Nel nostro Paese abbiamo 14 milioni di anziani, cioè di persone che hanno superato la soglia dei 65 anni, pari a un quarto della popolazione. Di questi, quasi 4 milioni presentano una condizione di non autosufficienza, poiché affetti da malattie croniche. Un milione vive peraltro in solitudine. E il 50% degli anziani non autosufficienti non gode né di assistenza sanitaria, né di assistenza sociale. Sono cifre che dovrebbero spaventarci, perché segnano un gap importante rispetto agli standard di civiltà raggiunti in quasi tutti gli altri Paesi europei occidentali».

E invece?

«Gli ospedali e i pronto soccorso rappresentano l’unica risposta sul territorio».

Qual è la via di uscita?

 «Ritengo che sia necessario potenziare l’assistenza territoriale. La soluzione c’è ed è quella di organizzare una rete, mettendo a sistema gli attori della salute che hanno svolto fin qui un ruolo sussidiario al Servizio Sanitario Nazionale. Mi riferisco ai medici di medicina generale, ai servizi offerti dalle farmacie, alle cooperative sociosanitarie che innervano stabilmente l’intero territorio nazionale e possono garantire quella continuità assistenziale che può rivelarsi provvidenziale per i nostri anziani. Il delitto è che i soldi ci sono ma non si sta potenziando l’assistenza. L’Italia è fanalino di coda dell’Europa, sia per le Rsa, sia per le cure domiciliari. Tutto questo è inconcepibile per un Paese anziano come il nostro».

Il Pnrr a oggi è un’occasione persa?

«Il Pnrr prevede un raggiungimento entro il 2026 del 10% degli 65enni assistiti a casa. Oggi stiamo assistendo a una torre di Babele. Alcune regioni non sono nemmeno partite. Altre stanno regolamentando il cosiddetto accreditamento. Anche le regioni che sono partite come il Lazio non hanno raggiunto i livelli assistenziali previsti dal Pnrr».

L’Italia è divisa in due anche sulla questione anziani? Il Nord corre più veloce del Sud?

«Ad eccezione della Sicilia, gli anziani del Mezzogiorno hanno meno garanzie e meno tutele e sono i dati a dirlo. Nelle Regioni meridionali la percentuale di assistiti a casa è assai più bassa che in quelle settentrionali, con punte negative dello 0,9% in Calabria a fronte della media nazionale del 3,3%. Se si appaiano questi numeri ai report di qualità sul Servizio Sanitario Nazionale e penso soprattutto alle condizioni di critico sovraffollamento degli ospedali del Sud, ai ricoveri impropri, il risultato è presto detto». 

La legge 23 marzo 2023, n. 33 “Deleghe al Governo in materia di Politiche in favore delle persone anziane” persegue anzitutto importanti macro-obiettivi, quali sono il superamento dell’attuale caotica frammentazione delle misure in materia e la definizione di nuovi modelli d’intervento. Serve mettere una marcia in più. Quali azioni più urgenti vanno intraprese?

«Questa è una legge delega che adesso bisogna riempire con i decreti attuativi. Che per essere tali funzionano solo se ci metti le risorse. Io ad oggi ho sentito buoni propositi, ma ancora non ho visto quello che le persone meritano. Le faccio un esempio. Se tu investi mettendo dei mattoni sui territori e poi ti accorgi che non hai forza lavoro per riempire questi mattoni è tutto inutile. Bisogna costruire un esercito di operatori sociosanitari con formazione complementare in sanità. Questo è il profilo che consentirebbe di raggiungere i risultati. Se fossi io il Governo investirei molti soldi sulla formazione. Dopodiché inizierei a strutturare una rete territoriale degna di questo nome».

È fiducioso sul futuro?

«Sono un’ottimista di natura e vedo il bicchiere sempre mezzo pieno».

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