Il nuovo articolo del presidente di OSA e di Confcooperative Sanità sul mensile Panorama della Sanità

Ho sempre creduto che fosse possibile proporre e praticare un altro modello di sanità, che aiutasse il sistema pubblico con un’azione sussidiaria, volta alla tutela delle persone più fragili, che originava quindi, ai sensi dell’art 45 della Costituzione, dal campo della cooperazione: da quando ero un giovane ricercatore fino ad oggi, anzi direi soprattutto oggi.

Non si è mai trattato di una alterità antagonista al Servizio Sanitario Nazionale, che resta per i suoi principi di universalità ed equità insostituibile, al di là delle incongruenze o delle deviazioni affastellate nella sua applicazione reale. Ho rivendicato – e con me una comunità via via sempre più larga – una diversità che, nel solco del mandato costituzionale, servisse il sistema della salute, completandolo e all’occorrenza correggendolo.

Il quadro che si è rapidamente affrescato nel mezzo dell’aggressione del Covid e poi subito dopo indica come necessario l’apporto delle forze sane del Paese, ma chiarisce anche che quelle forze hanno ampiamente dimostrato la propria utilità, in termini di dedizione e innovazione.

Siamo in ritardo e la gente ne soffre, per le angosce di altre possibili tempeste globali (i mass media già titolano: «Allarme dell’OMS, in arrivo la Malattia X», «la prossima grande pandemia potrebbe uccidere 50 milioni di persone») e per i quotidiani insopportabili ostacoli che si frappongono tra una esigenza di cura e la sua adeguata risposta. È difficile comprendere le ragioni di questa esitazione a procedere verso una riqualificazione del Sistema: l’Italia può contare su erogatori di salute già pronti alle sfide della modernizzazione e dell’efficientamento. Ce ne sono nell’alveo del privato sociale, quel Terzo Settore a cui la Costituzione affida il compito della sussidiarietà orizzontale e che troppi Governi hanno invece o relegato a strumentali funzioni ancillari o spinto ai margini di attività minori. 

Attenzione: gli operatori dell’assistenza primaria che hanno già adottato il metodo cooperativo rappresentano un connettivo imprenditoriale che conta su circa 9mila soci cooperatori medici (in prevalenza di medicina generale), 9mila e 200 soci cooperatori farmacisti, 355mila occupati nelle diverse aree della filiera del welfare, 7milioni di persone prese in carico e assistite.

Questa organizzazione enorme e viva ha già prestato opera nelle sue diverse articolazioni per il Servizio Sanitario Nazionale, è già da tempo a disposizione del Servizio Sanitario Nazionale, ha già offerto al Servizio Sanitario Nazionale modelli di assistenza e di cura innovativi. Un esempio tra i più significativi: il Consorzio di Assistenza Primaria (CAP) che mette a sistema le farmacie dei servizi e le cooperative sociosanitarie in sinergia con le cooperative dei medici di medicina generale per assicurare una erogazione capillare di servizi necessari alla salute.

Quindi? Quindi, anziché compiere una operazione pacifica (2+2), si indugia ancora, preparando il terreno per una riforma monca e perciò insufficiente e quindi per una riforma che non riformerà alcunché. Se intendiamo fare del domicilio il primo luogo di cura, come evocato tra i marosi della pandemia, come annunciato nelle sedi del Legislatore, come previsto dalla Legge Delega di riforma all’assistenza agli anziani non autosufficienti, come garantito da tre Presidenti del Consiglio consecutivi, come argomentato nelle centinaia di dibattiti pubblici degli ultimi anni, come intonato nei comizi, ebbene se davvero si vuole incartare questo risultato che segnerà la Storia della salute pubblica, è ora di compiere scelte politiche nette su alcune questioni fondamentali. Dapprima va chiarito se si vogliono utilizzare le forze espresse dalla sussidiarietà, iscritte a lettere di fuoco nella Carta, valorizzando il no profit (che adotta logiche mutualistiche). Poi occorre procedere a marce forzate con l’attuazione del sistema di accreditamento dell’ADI, persistendo una incredibile sperequazione tra le Regioni italiane, divise tra un’adesione solo formale all’intesa Stato-Regioni del 2021 e una pratica reale. Anche qui, punctum dolens, una sconcertante inerzia – soprattutto insistente nel Meridione, pure nelle Amministrazioni che propagandano civiltà come la mia Puglia – che pesa sulle spalle di popolazioni in affanno.

È necessario affrontare di petto il problema della carenza di personale professionalmente e umanamente qualificato che assista a domicilio i nostri malati cronici, in modo da fornire servizi continuativi al 10% degli over 65 per almeno 20 ore al mese. Ciò sarebbe a portata di mano avviando un piano strategico di formazione del profilo dell’OSS con formazione sanitaria complementare che operi sotto la supervisione dell’infermiere. Anche sul versante dell’empowerment tecnologico bisogna accelerare, consolidando i percorsi tecnologici per misurare gli outcome di salute, unici criteri a garanzia di soddisfazione degli utenti. Infine, va prefigurata e realizzata una rete che abbia come traccia comune la dignità del malato e come obiettivo unico l’assistenza su misura del paziente, fornendo tanto agli ospedali, quanto ai servizi extraospedalieri, funzioni e strumenti della medesima efficacia ed efficienza.

Giuseppe Milanesepresidente di Confcooperative Sanità e di OSA

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