Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità: “I problemi sono ancora tutti sul tavolo. Prevale l’assenza di una visione strategica e di proposte concrete di riforma del SSN”

Durante tutto il biennio dell’emergenza pandemica il dibattito sulla crisi e sulla necessità di un’azione di rafforzamento del Servizio Sanitario Nazionale ha dominato il confronto politico ed è stato al centro dell’agenda governativa. Ora invece, come ha notato la quasi totalità degli stakeholder e degli osservatori del sistema salute, per una strana legge del contrappasso è calata una cortina di disinteresse sui temi della sanità, proprio nel clou della campagna elettorale. Una sensazione confermata anche dalle numerose analisi dei programmi delle diverse forze politiche che in queste settimane girano sulla stampa specializzata. Prevale l’assenza di una visione strategica e di proposte concrete di riforma del SSN.

La Pandemia non aveva dimostrato la necessità impellente di un intervento nel nostro sistema sanitario? Come Confcooperative Sanità siamo convinti che il rilancio del SSN, e in particolare il potenziamento dell’assistenza territoriale, debba rappresentare una priorità nell’agenda dei partiti e del prossimo Governo, al pari dell’inflazione e della crisi energetica. In questi due anni sono stati messi in campo una serie di interventi emergenziali che hanno puntellato il sistema, ma i problemi strutturali sono ancora tutti sul tavolo, sia sul fronte ospedaliero, che su quello del territorio, lasciando i cittadini, soprattutto i più fragili, nello sconforto di non vedere soluzioni alle proprie necessità di cura.

Fedeli all’antico motto confuciano «o porti almeno una soluzione, o sei anche tu parte del problema», riteniamo utile alimentare il dibattito non solo sottolineando le criticità, ma avanzando alcune proposte per il rafforzamento dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria territoriale, tenendo conto anche degli sviluppi impressi dal PNRR.

Mi concentrerò in particolare su due questioni: sanità di prossimità e carenza di personale.

Sulla “sanità di prossimità” ribadiamo la preoccupazione che gli investimenti in case ed ospedali di comunità si risolvano in una grande operazione di edilizia sanitaria piuttosto che nel potenziamento dei servizi ai cittadini. È forte infatti l’incertezza, espressa da ultimo anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, sul quadro delle risorse correnti disponibili quando tali presidi saranno a regime. C’è un rischio concreto, dunque, di costruire una serie di cattedrali nel deserto.

Eppure basterebbe mettere a sistema, allargando l’orizzonte oltre il perimetro del pubblico, i modelli realizzati dal privato cooperativo in un’ottica di complementarietà e sussidiarietà con il SSN e che già oggi forniscono servizi a 3,5 milioni di utenti. Una filiera che già esiste ed integra medicina generale, farmacia dei servizi, cooperative sanitarie e sociosanitarie e che, debitamente sostenuta ed investita di ruolo, può realizzare una rete di servizi radicata e diffusa su tutto il territorio nazionale.

Il secondo aspetto riguarda la carenza di professionisti sanitari. Un recente articolo uscito su “il Sole 24 ore” segnalava come nel 2021 risultassero introvabili, nella sanità privata, il 47% di medici, il 42% di infermieri e fisioterapisti, il 38% di operatori qualificati nei servizi sanitari e sociali.

Particolarmente delicata la situazione sul fronte infermieristico dove la Federazione degli ordini degli infermieri (FNOPI) certifica la carenza in circa 63.000 unità (mantenendo il rapporto attuale di 5,5/5,6 infermieri ogni 1.000 abitanti), ma le proiezioni indicano una carenza di circa 162.000 unità, se si prendono in considerazione gli standard europei. A fronte di ciò, nel 2021, si sono laureati meno di 10.000 infermieri.

È evidente che i canali universitari non saranno in grado di colmare il gap in tempi ragionevoli. Per questo è importante rompere gli indugi ed implementare il profilo dell’Operatore Sociosanitario specializzato (OSS-S), figura in grado di collaborare con l’infermiere e che, sotto la supervisione di quest’ultimo, si rileverebbe idonea adoperare nei contesti propri dell’assistenza sociosanitaria territoriale (domicilio, RSA, centri diurni). Come Confcooperative Sanità abbiamo stimato, per la sola assistenza domiciliare, la necessità di più di 100.000 di questi operatori. Formarli costerebbe alle casse dello Stato circa 300 milioni, dando lavoro a molti giovani e dunque con un ritorno diretto in termini di occupazione e gettito fiscale.

Chiaramente questi sono solo due tasselli di un mosaico che vede altri problemi spinosi sul tavolo, come la riforma della medicina generale, la strutturazione di un sistema di presa in carico per la popolazione anziana e non autosufficiente, la scelta tra un modello di rapporto pubblico privato ispirato alla sussidiarietà oppure alla visione statalista che pervade il DM 77. Un mosaico che può essere risolto solo avendo una visione chiara dell’immagina che si vuole costruire e che, per Confcooperative Sanità, si sintetizza in sei punti: regia istituzionale unica per l’assistenza primaria; riconoscimento del ruolo sussidiario del privato sociale nel SSN; regole per la selezione degli erogatori privati improntate a standard qualitativi elevati; reti territoriali integrate per la presa in carico del bisogno; rigorosa analisi degli outcome di salute; risorse professionali adeguate a sostenere servizi di qualità. In uno slogan “6 R” per la riforma della sanità territoriale.

Intervento pubblicato su Milano Finanza edizione del 23 settembre 2022

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