Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità interviene sul nuovo numero del mensile Panorama della Sanità

Lo scorso 14 marzo, nel Palazzo della Cooperazione a Roma, Confcooperative Sanità ha organizzato il convegno “La sanità di domani, tra interrogativi e certezze”, riunendo, al medesimo tavolo di confronto, alcuni tra gli esponenti delle istituzioni più sensibili ai temi della salute, ciascuno appartenente ad un diverso segmento di quello che un tempo veniva chiamato l’«arco costituzionale». L’occasione ha in qualche modo rappresentato il distillato di un anno laborioso, scandito da incontri, collazione e messa a fattor comune di idee, tutte preziose.

Ho guardato e riguardato il filmato dell’iniziativa, disponibile al link https://www.youtube.com/watch?v=scGpuKxFjrQ, e ogni volta mi sono sentito ragionevolmente ottimista.

«Non si tratta, oggi, di mettere delle toppe ad un vestito. Oggi noi dobbiamo cambiare il vestito o sarà un problema. Dire solo che la sanità deve tornare nel territorio non è sufficiente. Perché se non ci si torna con una nuova visione, noi rimarremo ancora al punto di partenza. Non si tratta di irrobustire i servizi o di dare più spazio agli erogatori, il problema è un altro. È come la società si prende cura di tutti i suoi anziani, in questo caso partendo dal loro domicilio e via via dando risposte a seconda dei loro bisogni. (…) La priorità dell’assistenza domiciliare, integrata e continuativa, è un paradigma nuovo perché ancora oggi l’assistenza domiciliare significa appunto 17 ore l’anno di infermiere. Che è ridicolo. Ecco perché c’è bisogno di ripensare globalmente la presa in carico degli anziani nel nostro Paese. E c’è da inventare organicamente tutta una nuova filiera, quel continuum assistenziale che appunto parta dall’assistenza domiciliare, contempli i cohousing, restauri i centri diurni senza costruirne di nuovi, riqualifichi le RSA». È Monsignor Vincenzo Paglia, nella autorevole veste di Presidente della Commissione ministeriale per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria agli anziani, ad avere pronunciato parole tanto nitide sull’urgenza di ribaltare la visione dell’assistenza ad anziani e fragili.

«La cooperazione incarna un concetto meraviglioso della nostra Costituzione, che è la sussidiarietà, che altro non significa che dare servizi ai cittadini. (…) La pandemia ha messo in luce tutto quello che non funzionava prima nella nostra sanità. E allora la prima cosa da fare è mettere in sicurezza il territorio. Come facciamo a trovare delle soluzioni per questo? I temi sono due: è necessario costruire una maggiore regia nazionale e intraprendere la strada del partenariato pubblico-privato. Attribuiamo un ruolo chiaro al pubblico per la programmazione, sia a livello centrale, sia a livello locale. E partiamo dalle esperienze virtuose, da quello che già esiste e funziona sul territorio: le farmacie di servizi, le cooperative dei medici di medicina generale, per costruire un sistema della salute che parta dal domicilio e assicuri continuità e intensità delle cure». Questa volta è la senatrice Annamaria Parente, Presidente della Commissione Igiene e Sanità (Partito Democratico) a rilasciare dichiarazioni salde sulla virtuosa distinzione tra uno Stato controllore e i soggetti erogatori in un costruendo modello di sanità del territorio.

Fai click sul video e guarda il Digital Debate di Confcooperative Sanità

«L’anziano malato deve essere curato a casa, ma bisogna creare la filiera che consenta che quella persona venga presa in carico, e cioè seguita costantemente durante la giornata e non per poche ore al mese. Come farlo? Creando le figure professionali che oggi non ci sono. Avendo contezza della grande rete che anche Confcooperative ha portato all’attenzione pubblica e che è la base sulla quale oggi la medicina territoriale, in assenza di un approccio da parte dello Stato in questa direzione, è riuscita a mettere sul campo, altrimenti noi saremmo stati completamente privi di questa filiera». L’idea di attingere al settore della cooperazione per integrare risorse umane e professionali oggi mancanti nel quadro della sanità pubblica è della senatrice Paola Taverna (Movimento 5 Stelle), vicepresidente del Senato e promotrice dell’intergruppo parlamentare sulla Longevità.

«Durante la pandemia da Covid (e anche scoppiata la guerra in Ucraina) il Governo ha chiesto aiuto alle realtà del terzo settore. Nell’emergenza umanitaria e nel conflitto bellico sono le realtà del terzo settore ad essere state chiamate a dare una mano. Perché? Perché quelle organizzazioni sono già presenti sul territorio, sono già in prima linea, sono già un presidio e quindi possono essere immediatamente operative. Ma non si può pensare che ci sia una chiamata alle armi soltanto nel momento in cui si affronta l’emergenza e non nel momento in cui si programma e si concerta un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Perché questo è sbagliato nei termini. Perché per fare le cose bene bisogna chiamare i migliori esperti. E un governo dei migliori chiama i migliori in campo, quelli che stanno dentro le istituzioni, ma anche quelli che stanno fuori». Maria Teresa Bellucci, neppure al Governo perché appartenente al gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia e componente della Commissione Affari Sociali, argomenta convintamente della necessità di collaborare con il Terzo Settore nella fase progettuale prima, in quella operativa poi.

Così anche i ragionamenti inanellati dagli onorevoli Matteo Richetti e Nico Stumpo, tutti in linea con gli altri e tutti insieme con le proposte emerse dal lavoro di Confcooperative. Allora, che cosa serve per procedere agevolmente? Forse i soldi? No, è Giuseppe Chinè, capo di gabinetto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, uno dei tecnici più autorevoli e competenti della Repubblica, a dissipare anche questo dubbio: «Le risorse ora ci sono ma siamo preoccupati perché dobbiamo spenderle bene, vale a dire investirle in cose che trasformano il nostro Paese. La popolazione italiana è invecchiata, quindi la sanità non può essere quella di vent’anni addietro. Dobbiamo pensare a una sanità che non ha più l’epicentro nell’ospedale: la persona va curata a casa, che deve diventare il luogo di cura principale».

Tutti concordi, dunque, su una idea di riforma della sanità in direzione del territorio che contempli, valorizzi e strutturi il ruolo della cooperazione in funzione sussidiaria allo Stato. Se non dovesse realizzarsi, sarà difficile mestiere spiegarlo agli italiani, possibilmente guardandoli diritti negli occhi.

Giuseppe Maria Milanese

SCARICA E LEGGI L’ARTICOLO DEL PRESIDENTE MILANESE SU PANORAMA DELLA SANITÀ

Share This