Il presidente Milanese analizza sulle pagine di Panorama della Sanità il modello proposto in Lombardia da una cooperativa di medici di medicina generale durante la tempesta perfetta del Covid. “Non una ricetta ma un quid maggiormente prezioso: le coordinate tridimensionali di un sistema più vasto e profondo: quello del servizio che la cooperazione vuole e può rendere al Paese in forma sussidiaria”

In questo presente eccezionalmente sospeso – sospeso tra angoscia e speranza, tra malattia e rimedio, ma imbrigliato anche nell’impossibilità di emanciparsi dal passato verso il futuro – hanno proliferato soprattutto due categorie professionali. Anzitutto quella dei virologi, a torto o a ragione centrati finanche dal mirino della satira, a torto o a ragione soggetti al giudizio transeunte dei fatti, pronti a inchiodarli ad inappuntabili verità. E poi quella degli chef, di cui i canali televisivi pullulano oltre misura, guide impareggiabili nei mesi della clausura e dello sconforto.

Io ho accuratamente evitato di essere ascritto alla prima genìa, anche quando sollecitato dalle redazioni dei media, per l’acclarata indicazione secondo cui ciascuno dovrebbe limitarsi a fare il proprio mestiere.

E il mio mestiere da trent’anni ha consistito nel praticare la cooperazione come metodo per implementare l’assistenza primaria, vale a dire quei servizi alla salute che ancora, col ritardo dei lustri, mancano fuori dall’ospedale. Tuttavia, in un momento in cui le speranze valgono più di sempre e le prospettive diventano la via per accedervi, provo piuttosto a raccontare quello che c’è.

Non sono quindi quello che sa o può dare ricette, in cucina o nel campo largo della salute. Sono però curioso, perlomeno per come Foucalt intendeva la curiosità: una sorta di meraviglia necessaria a distrarsi dal reale per guardare diversamente le cose. Allora oggi guardo al serrato dibattito in corso che coinvolge i medici di medicina generale, in un passaggio epocale che potrebbe muoverli da un rapporto di convenzione con lo Stato ad uno di dipendenza, stravolgendo un assetto che sembrava consolidato. Non entro nel merito delle posizioni, limitandomi a registrare lo scontento degli uni, l’affanno degli altri, in un tourbillon in cui è difficile stabilire un equilibrio tra soggetti virtuosi, elementi perniciosi, sindacati, Stato e Regioni. In cui diventa arduo comporre un nuovo equilibrio per saldare parti preziose di un mosaico più ampio.

Così, per la mia natura di curioso, mi volto indietro o mi guardo intorno, sempre alla ricerca di buone prassi e, possibilmente, di connessioni. E, lungi da me la volontà di propinare ricette ai medici o ai legislatori, provo a indicare una realtà che, semplicemente, funziona bene. Funziona a dovere non soltanto in termini economicistici, ma anche rispetto – userò un’espressione orrenda – alla «customer satisfaction», che altro non è che la buona pace dei pazienti che hanno avuto bisogno di quella filiera.

Mi riferisco ad Iniziativa Medica Lombarda (IML), una cooperativa che nell’intera Regione conta su 735 soci, così configurandosi come la maggiore del Paese, sorta come risposta organizzata al progetto CReG, programma di gestione delle cronicità. Prima della tempesta perfetta della pandemia, IML si occupava principalmente della presa in carico dei pazienti cronici con una modalità integrata ed innovativa, raggiungendo la cifra imponente di 80mila assistiti. Percorso tanto virtuoso da meritare una analisi puntuale e benevola da parte di AGENAS nel gennaio del 2021. L’avvento del Covid ha, di fatto, ridotto (quando non bloccato) il sistema di presa in carico, ma non ha fermato le attività della cooperativa. Anzi, ne ha sollecitato l’impulso all’adattamento, adeguandosi alle nuove condizioni emergenziali. Allora, telemedicina a go go, attraverso il telemonitoraggio di pazienti Covid, sospetti Covid o fragili, televisite e teleconsulti per raggiungere fin nei domicili coloro che vi erano giocoforza rintanati; prenotazioni ed esecuzioni di tamponi rapidi sempre nelle case, ovviamente insieme alle aziende sanitarie; e vaccinazioni a tappeto, fino a conseguire la corposa cifra di 750mila a fine febbraio. Iniziativa Medica Lombarda sembra pronta anche ad imboccare il nuovo corso prefigurato dalle riforme in seno al PNRR, disponibile alla gestione «chiavi in mano» delle Case di Comunità.

Ciò che emerge è, da un lato, la duttilità del modello immaginato, realizzato, affinato e messo alla prova anche nell’emergenza; dall’altro, la capacità di sartorializzarsi alle esigenze della salute che è una dote etica prima che funzionale. Nelle conversazioni con il mio amico medico Mario Battista Sorlini, tra i protagonisti di questa significativa impresa, ascolto frequentemente parole di questo peso: «Non può interessarci lo scontro con le istituzioni, siamo sempre pronti ad adattarci se il fronte è interessante, innovativo, deontologicamente corretto».

In questa ultima affermazione io ritrovo non una ricetta ma forse un quid maggiormente prezioso: le coordinate tridimensionali di un sistema più vasto e profondo, che è quello del servizio che la cooperazione vuole e può rendere al Paese in forma sussidiaria. Ritrovo la realizzazione plastica del mandato costituzionale affidato alla cooperazione. Ritrovo un esempio che vorrei segnalare, con la modestia dell’avventore e non il protagonismo del cuoco, a coloro i quali in questo frangente della nostra Storia stanno occupandosi responsabilmente di riforma della sanità.

Giuseppe Maria Milanese

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