“Ha dovuto sferzare il vento di una pandemia per sollecitare gli amministratori della salute pubblica a porsi il macroscopico problema della debolezza strutturale e sostanziale della rete territoriale italiana, e comunque nessuno può purtroppo vantare certezze sugli esiti di questa riflessione nata dall’urgenza: la nostra Storia nazionale, soprattutto quella del ‘900, è cesellata di furie francesi e ritirate spagnole.”. È quanto scrive Giuseppe Milanese, nel suo intervento pubblicato sul numero di settembre del mensile Panorama della Sanità.

Nella sua analisi del sistema dell'assistenza primaria italiana in un'ottica di riforma della salute quantomai necessaria, il presidente di OSA e di Federazione Sanità parte innanzitutto dai dati inconfutabili per definizione. “Gli italiani affetti da una patologia cronica”, evidenzia “sono 24 milioni, di cui 12,5 con più di una cronicità, vertenza che finanziariamente si traduce in una spesa di oltre 66 miliardi di euro. Rispetto ad una platea nazionale di 2milioni e 850mila anziani non autosufficienti, soltanto il 31,9% di loro è preso in carico dai servizi sanitari, il 18% dai servizi sociali e appena lo 0,6% accede simultaneamente e in forma integrata alla SAD erogata dai Comuni e all’ADI erogata dalle ASL. Il già grave ritardo che il Belpaese patisce nel settore dell’assistenza domiciliare (media nazionale del 2,7%) assume contorni drammatici nella comparazione tra regioni, nel senso di una vistosa sperequazione (nel Lazio l’1,7%, nel Veneto il 4,2%). Il fronte dell’assistenza residenziale è analogamente compromesso, seguendo pari pari lo schema di quella domiciliare: la percentuale nazionale di ultrasessantacinquenni ricoverati nelle strutture è del 2,2%, con un considerevole distacco tra picchi (Lombardia: 3,8%) e flessi (Campania: 0,2%)”.

 

Di fronte ad uno scenario simile, aggiunge il presidente di OSA e di Federazione Sanità, “noi – e con noi intendo il movimento della cooperazione – abbiamo una proposta. Nel senso che non ci siamo limitati, negli ultimi decenni, a queruli peana. Nel senso che siamo pronti da tempo a passare alla fase operativa. E nel senso che siamo convinti di essere latori di una visione nazionale, scevri – pur nel paradosso di essere parte – da interessi particolari”.

 

Milanese spiega quindi nel dettaglio quello che definisce come “il paradigma delle 5R che illustra succintamente ma in maniera efficace le direttrici attraverso cui realizzare un’assistenza primaria degna di un Paese civile, finalmente integrato nella dimensione europea, finalmente riguardoso del dettato costituzionale, finalmente aderente al concetto di salute scolpito a lettere di fuoco dall’OMS”.

Occorrerà una Regia unitaria, necessaria per definire il disegno di sistema in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, elevando gli standard di qualità – pratici ed etici – che oggi appaiono disgregati a macchia di leopardo. Si dovranno stabilire Regole certe e univoche, imboccando la strada dei processi di accreditamento e risolvendo una volta per tutte l’equivoco sul balordo sistema delle gare di appalto, che inficia la qualità dei servizi erogati e troppo spesso nasconde il fermento del malaffare. Sarà necessario organizzare Reti territoriali multiprofessionali – appena pochi mesi addietro vigorosamente sollecitate dall’OCSE – in modo da realizzare percorsi di assistenza integrati sempre in un quadro di partnership con il Sistema Sanitario Nazionale, vale a dire di intervento sussidiario di pari dignità. Dovranno definirsi i Ruoli di questo assetto, separando nettamente la funzione di programmazione e controllo (in capo allo Stato) da quella di erogazione (la cui titolarità spetterà a soggetti pubblici o privati). E, infine, dovrà applicarsi il Rigore nella misurazione degli outcome di salute, focalizzando l’attenzione non più soltanto sulla quantità delle prestazioni, approccio ragionieristico che nella sanità ha (apparentemente) risanato i conti tuttavia originando conseguenze perniciose, ma anche sulla qualità degli esiti delle cure”.

 

In questo scenario la telemedicina e l’assistenza territoriale sono inscindibili e costituiscono“le due facce di una medesima medaglia, nel senso che diventa difficile prefigurare un adeguamento del pianeta Salute alle esigenze di un futuro che è già presente senza l’ausilio della tecnologia, intesa come visione culturale e come piattaforma di strumenti 3.0, tra cui la digitalizzazione e la connessione reticolare. Quest’ultimo aspetto assume una importanza capitale se estrinsecato: le reti integrate di assistenza primaria dovranno connettere funzionalmente da una parte i setting assistenziali (ambulatorio, cure domiciliari, strutture residenziali e semiresidenziali, assistenza intermedia e ospedali), dall’altra le competenze (medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici della riabilitazione, operatori sociosanitari)”.

 

“E come potrebbe realizzarsi una infrastruttura così ambiziosa senza una schietta compenetrazione con la tecnologia?”, si domanda infine Milanese “Noi aspettiamo fiduciosi risposte da un sistema che come sempre fa fatica ad autoriformarsi: ma questa volta non intendiamo fare la fine di Godot”.

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