Rosanna Amoroso è psicologa e lavora da tre anni per la Comunità Riabilitativa Assistenziale Psichiatrica (CRAP) OASI gestita da OSA di Vico del Gargano, in provincia di Foggia. Insieme agli infermieri, gli educatori e in particolare con l’assistente sociale Eleonora del Giudice ha dato vita agli ‘psicogruppi’, di cui ci ha parlato durante un’intervista telefonica.
 

Rosanna, in cosa consiste l’attività riabilitativa all’interno della vostra struttura?
L'attività riabilitativa si svolge su due livelli. Le attività di primo livello sono a cura di infermieri, educatori e dell'assistente sociale e ha come obiettivo quello di potenziare ‘il fare’ per favorire l’autonomia degli utenti attraverso la cura di sé (igiene personale, dell'ambiente, dell’abbigliamento, della cucina); il gruppo cucina con frequenza quotidiana; il gruppo giornale per informare gli utenti su ciò che avviene nel mondo e per stimolare abilità come la logica, la memoria, la concentrazione e la discussione; l’attività ludico-ricreativa con interventi finalizzati alla soddisfazione ludica, alla socializzazione e all’attivazione delle capacità di attenzione, espressione; le attività di tempo libero che propongono inoltre, uscite all’aria aperta, passeggiate, karaoke; il gruppo Cineforum, attraverso la visione di un film che tratta tematiche relative a problematiche esistenziali e, infine, i laboratori che prevedono la realizzazione di piccoli manufatti attraverso l’utilizzo di varie tecniche e materiali.
 

Delle attività di secondo livello te ne occupi tu. Come le gestisci?
Queste attività sono finalizzate al recupero di più adeguate capacità introspettive e relazionali. Infatti mirano a far emergere, riconoscere ed elaborare il vissuto emotivo al fine di facilitare nel paziente il raggiungimento di un miglior livello di consapevolezza e di adattamento. Abbiamo chiamato questi gruppi 'psicogruppo', un nome che piace molto ai nostri assistiti. Lo scopo è aiutarli a socializzare tra di loro dal momento che hanno estrema difficoltà a relazionarsi con gli altri. Di norma, preferiscono il rapporto duale, quello che si instaura tra me e loro durante i colloqui individuali. Partendo dalle regole basilari della comunicazione, il primo anno abbiamo cercato di valorizzare le loro capacità verbali e non verbali. Il secondo anno, invece, grazie alla creatività della nostra coordinatrice Maria e alla laboriosità degli operatori abbiamo realizzato il termometro delle emozioni, ispirandoci a un progetto americano.

Il termometro delle emozioni… Cosa è?
Si tratta di uno strumento che abbiamo inventato durante il progetto 'Educazione emotiva”. Come ho già spiegato, i nostri utenti hanno difficoltà a mettersi in contatto con le loro emozioni e non riescono a riconoscere cosa provano loro o gli altri. Hanno difficoltà sia intra che inter psichiche. Da qui è nata l'idea di realizzare un cartellone (ndr vedere immagini) in cui è possibile segnalare il proprio stato d'animo: la rabbia, la gioia, la paura, la tristezza utilizzando, ognuno, un proprio bastoncino personale.

 

Rosanna, potresti fare un esempio?
Certo. Se un utente mi dice: “Dottoressa, sono un po' arrabbiato”, significa, innanzitutto che è stato in grado di individuare l’emozione primaria che sta vivendo. Hanno a disposizione un bastoncino per ogni emozione e lo possono posizionare sul termometro a seconda del livello di rabbia che sta provando in quel momento: poco, pochissimo, abbastanza, molto, moltissimo. In questo modo, imparano a identificare il vissuto sperimentato e a collocarlo. Una volta che il riconoscimento iniziale è stato raggiunto, l’utente potrà condividere, se lo vorrà, la sua esperienza all'interno del gruppo di discussione. Trattandosi di gruppi aperti, un utente può decidere con la massima autonomia se partecipare o meno, può anche andarsene durante l’incontro. Tra noi colleghi c’è grande sinergia. Gli operatori mi aiutano a coinvolgerli durante le attività, a stimolarli. Il loro sostegno è fondamentale e li ringrazio di cuore.
 

Quest’anno state trattando il tema dell’assertività. Perché?
È un aspetto tanto importante quanto complesso della comunicazione. L’assertività è la modalità di esprimere liberamente la propria opinione, di fare richieste e comunicare i propri bisogni nel rispetto dell'altro. Poiché nei nostri utenti prevale una comunicazione di tipo passiva o aggressiva, insieme all’assistente sociale Eleonora Del Giudice sto cercando di aiutarli a essere più assertivi e per questo un'altra attività importante è quella del 'Role planning' ovvero degli esercizi pratici sulla comunicazione non verbale. Ad esempio chiediamo agli assistiti di interpretare un personaggio utilizzando una comunicazione assertiva. Facciamo teatro dietro una scrivania che, ormai, è diventato il nostro palcoscenico e questo li aiuta moltissimo divertendosi.

 

Il tuo lavoro è fatto di piccoli, impercettibili successi. Cosa significa?
Non abbiamo mai grandi aspettative perché ogni piccola, impercettibile modificazione del loro comportamento – che può sembrare banale – in realtà è un grande successo per noi e per loro. Se un utente che generalmente si esprime in modo aggressivo “Dammi una sigaretta” impara, ad esempio, a fare richieste nel modo giusto “Mi piacerebbe che tu mi offrissi una sigaretta”, questo cambiamento è un obiettivo raggiunto. Io lavoro con loro 12 ore a settimana, suddivise in due giornate di colloqui individuali e una giornata dedicata agli psicogruppi. Gli utenti sanno che queste attività sono calendarizzate e che si ripetono e sono contenti di parteciparvi. Alcuni assistiti quando mi incontrano, mi fermano e mi chiedono: “Oggi c’è l’interrogatorio”?

 

Ci racconti un aneddoto per farci capire il tuo rapporto con gli utenti?
La maggior parte dei miei assistiti mi chiamano dottoressa, alcuni Rosanna e tutti mi danno del tu, ovviamente. Con gli utenti ho un rapporto bellissimo. E posso riassumerlo con quello che mi ha detto una ragazza che ho abbracciato per farle gli auguri di buon compleanno proprio qualche giorno fa: “Il tuo abbraccio mi fa tanto, tanto piacere. Sembra quello di un famigliare”. È inevitabile coinvolgersi nel mio lavoro, entrare nelle loro storie di vita. Quando hanno momenti di crisi tutto diventa più complesso da gestire. Si torna a casa sempre con qualcosa ‘nella borsa’, non sempre è piacevole. Di fronte a tante situazioni ci sentiamo impotenti ma quello che mi fa tornare il sorriso e l’energia di sempre è ricordarmi il valore dei loro piccoli, impercettibili traguardi che per loro sono passi da gigante.

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