La comunità straniera attiva all’interno della cooperativa conta, in totale, 293 persone, nella maggior parte dei casi infermieri professionali. All’interno di questo gruppo prevalgono numericamente le donne essendo l’84 per cento del totale . Corina Buhus è una di loro, è un’infermiera professionale, è uno dei 93 soci che è nato in Romania e lavora in Osa dal 2006. Le abbiamo chiesto di parlarci di questo periodo e di come le relazioni con i colleghi ma anche con gli assistiti siano state un mezzo per crescere sotto tutti i punti di vista.

 

Come ha conosciuto la Cooperativa Osa?

“Il mio primo contatto con Osa – ci ha spiegato la signora Buhus – è stato possibile attraverso un passaparola che mi ha fatto conoscere la realtà della cooperativa. Mi sono quindi proposta per un colloquio al quale ha fatto seguito un periodo di inserimento prima dell’effettiva entrata in servizio.

Quali sono le difficoltà che può incontrare uno straniero che lavora in Osa?

In alcuni casi è capitato che soprattutto i parenti degli assistiti fossero diffidenti nei miei confronti in quanto di origine straniera. Si è trattato di episodi che, seppur abbastanza rari, sono capitati. Nella maggioranza dei casi, comunque, i dubbi si sono sciolti con la verifica “sul campo” della bontà del lavoro. In una piccola parte dei casi le difficoltà sono rimaste al punto di partenza ma stiamo parlando di poche persone.

Quali sono state le sue impressioni sull’ambiente lavorativo? In questo caso come è stato lavorare essendo straniera?

Le sensazioni ricavate nei primi giorni sono state confermate con il passare dei mesi e degli anni. In particolare sono stata colpita dalla disponibilità dei colleghi a lavorare in equipe. Non ho mai avuto la sensazione di essere stata lasciata sola di fronte ai miei impegni ma, anzi, sono stata messa in condizione di sentirmi pienamente a mio agio.
Parlando del rapporto tra lavoratori provenienti da paesi diversi non c’è stata mai nessuna difficoltà e differenza. I rapporti sono sempre improntati alla professionalità. Questa percezione è quella che credo sia il frutto migliore della collaborazione tra operatori.

Questo tipo di approccio pensa che sia di giovamento anche per gli assistiti?

Senza dubbio sì. Sono convinta che, quando si fa parte di un gruppo di lavoro affiatato, l’efficacia dell’assistenza migliori in maniera direttamente proporzionale. Da quando ho cominciato a lavorare in Osa mi sono occupata degli assistiti che vengono seguiti in regime di assistenza domiciliare. Credo che questa specializzazione del nostro lavoro sia particolarmente gratificante, che renda nobile la nostra professione di infermieri.

Cosa sta ricavando dalla sua esperienza come socia lavoratrice di Osa?

Negli ultimi sette anni mi sento sicuramente arricchita, sia dal punto di vista umano che da quello professionale. La nostra attività quotidiana ci espone a grandi fatiche dal punto di vista mentale ma anche fisico. Entrambe vengono però ampiamente ripagate e compensate dalla soddisfazione di aver contribuito a migliorare la qualità di vita delle persone che assistiamo. Si tratta di persone che vengono colpite da malattie molto serie che li portano a perdere in parte o del tutto la propria autonomia.

 

Cosa si prova a contribuire a rendere migliore la vita delle persone?

È forse la parte migliore del nostro lavoro. I riscontri positivi arrivano non solo dagli assistiti in prima persona ma anche dai loro parenti. Nei contesti in cui si rende necessaria un’assistenza domiciliare, anche le famiglie sono sottoposte a prove non facili da superare. Per questo ci impegniamo per fare in modo che i pazienti siano più sereni possibile allo scopo di limitare lo stress che grava sui parenti. Il nostro lavoro è anche quello di istruire i parenti alla gestione degli apparecchi medicali, anche nel caso siano semplici bombole d’ossigeno, in modo che siano in grado di gestirli senza ansie aggiuntive. 

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