Sulle pagine de Il Sole 24 Ore il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità indica le priorità da seguire per un deciso cambio di rotta nel settore delle cure a casa

«Le Regioni devono accelerare al massimo nell’attuare l’Intesa dell’agosto 2021 sull’Adi e per evitare che continuino ad andare in ordine sparso come sta accadendo, servirebbe una regìa politica unica in capo ai ministeri del Lavoro e Politiche sociali e della Salute che tenga insieme l’approccio alla non autosufficienza e quello strettamente sanitario. Poi bisogna valorizzare la prossimità, ad esempio sfruttando tutte le potenzialità della farmacia dei servizi, punto di riferimento per gli anziani insieme al medico di famiglia: basterebbe dotare i farmacisti di un portale da cui attivare le cure a casa». Queste le priorità indicate per un cambio di rotta sull’assistenza domiciliare dal presidente di Confcooperative Sanità e di OSA, Giuseppe Milanese, interpellato nel merito da Il Sole 24 Ore.

«È chiaro che il nodo alla base di tutto è il personale: oggi gli addetti sono 3mila mentre assistere in Adi per almeno 20 ore al mese secondo lo standard indicato dalla letteratura internazionale il milione circa di persone che corrisponde al 10% di over 65 fissato dal Pnrr – a fronte degli attuali 400mila pazienti seguiti per 16 ore l’anno – significa arruolare 111mila operatori. Dove li troviamo? Va promossa subito una campagna di formazione da mille ore l’anno per 100mila operatori socio-sanitari (Oss) specializzati. Questa figura professionale era già stata prevista nel 2003 dal nostro ordinamento quindi basterebbe potenziarne e indirizzarne le capacità».

Per Milanese guardare ancora solo agli infermieri come risorsa per l’Adi, vista la carenza di numeri che interessa la categoria, non ha senso. Tanto più che anche quanti oggi sono impiegati nell’Adi svolgono per la grande maggioranza delle ore, spiega, una funzione più di “badante” che di nursing. Inoltre in un Pnrr che punta moltissimo sulle Case di comunità, prevedendone una ogni 50mila abitanti, secondo Milanese l’ottica di prossimità appare ancora lontana: «L’85% dei Comuni italiani conta meno di 10mila residenti – sottolinea -: i nostri assistiti hanno bisogno non di mattoni, ma di risposte vicine e risorse umane a disposizione. Mentre le case di comunità rischiano di rivelarsi i nuovi uffici burocratici del distretto lasciando irrisolto il grande bisogno di risposte dei fragili. E fragile è anche un ultranovantenne che vive solo anche senza particolari cronicità. Malgrado la grande opportunità del Pnrr, ancora oggi c’è una resistenza a tener conto delle priorità dei destinatari delle cure. In assenza di una presa in carico adeguata sul territorio i nostri Pronto soccorso continueranno a intasarsi di anziani fragili».

Pubblicato su Il Sole 24 Ore edizione 17 gennaio 2023

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