“Ho sempre lavorato nel sociale e tutte le persone che ho incontrato nella vita l’ho ritenute dei grandi compagni di viaggio che possono comunque insegnarti qualcosa. Tra chi come me si prende cura degli altri e le persone che ricevono l’assistenza avviene uno scambio reciproco: di fronte hai un mondo da scoprire, perché per me gli assistiti sono un mondo da scoprire. E a me piace pensare che noi siamo la loro valigia, con dentro gli strumenti necessari per affrontare un pezzetto di vita insieme”. Serena Forte, 37 anni, da uno e mezzo in OSA, lavora come assistente sociale all’interno del servizio di ADI sociale che la Cooperativa assicura nel distretto H1 della Asl Roma 6. Siamo in un territorio vastissimo e con una tipologia di utenza diversissima e meravigliosamente complessa: adulti, anziani, persone con disabilità, minori e famiglie in condizioni di marginalità. È un mestiere che vive di equilibri sottili e delicati, da preservare, quello che fa Serena, e non potrebbe essere altrimenti per chi entra in casa delle persone per prendersene cura.

 

“Il compito dell’assistente sociale è quello di garantire diritti umani e sviluppo sociale mantenendo l’attenzione anche sul bisogno territoriale, sulle esigenze della comunità e della persona”, spiega Serena quando le chiediamo del suo lavoro. Sono professionisti come lei a varcare per la prima volta la porta delle case degli assistiti per valutare quali siano i bisogni. Lo fanno insieme ad altre figure professionali come i coordinatori dei servizi, che nel caso di questo quadrante di città, quello della Roma 6, è Laura Lolli. “Dopo la prima visita domiciliare, stiliamo in équipe il PAI – Piano di Assistenza Individuale – per rispondere alle esigenze di una tipologia di utenza molto diversa e che richiede una serie di interventi molto diversi che vanno dalla cura della persona e dell’ambiente domestico fino al disbrigo pratiche. Il piano viene monitorato, affinché venga seguito dagli operatori e insieme a loro valutiamo periodicamente l’andamento progettuale per capire se gli obiettivi stabiliti e prefissati vengono mantenuti o se vi sono delle criticità”.

 

Stabilire un contatto con gli assistiti, all’interno delle loro case, è uno dei momenti iniziali più complessi del lavoro, perché si viola in qualche modo una sfera privata come quella dell’abitazione. “Cerco di farlo sempre in punta di piedi, di instaurare una relazione fatta di accoglienza e di ascolto, per capire il tipo di bisogno che c’è in quel nucleo familiare o che richiede quella persona. Per questo, è importante anche stare attenti ai bisogni che non vengono verbalizzati dall’utente. È un processo un po’ più profondo rispetto a quello che l’assistito si aspetta dal servizio, è necessario cogliere anche le caratteristiche individuali di ognuno magari per abbinare l’operatore giusto per quel tipo di intervento”.

 

La parola chiave è sempre quella: equilibrio. “Ci vuole distanza professionale, ma non troppa”, dice Serena, “altrimenti non si entra in contatto con la persona che si ha di fronte”. Del resto, per essere valigia ed affrontare insieme una parte del viaggio, bisogna rimanere vicini.

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