Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità interviene sul numero di luglio di Panorama della Sanità a proposito della riqualificazione del sistema sanitario nazionale: Noi siamo convinti che la cooperazione possa diventare, in questa fase della Storia, essa stessa il più grande servizio reso al Paese

Non vorrei, inopportunamente, esordire con il detto: «La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni». Però ho il ragionevole timore che la strada che dovrebbe condurre alla riqualificazione del sistema sanitario italiano sia lastricata di intenzioni altrettanto lodevoli.

Guardo con attenzione e rispetto alle proposte Turco-Gori da un lato e Paglia dall’altro, attendendo che un’azione di sintesi virtuosa le accorpi senza assommarle: cioè, rilevandone gli spunti più avanzati e sensibili, distilli in una sola legge di riforma il profilo e l’articolazione più adatti alle esigenze dell’Italia. Tuttavia: è ciò che sta accadendo realmente, è quello che il legislatore vuole davvero portare a compimento?

La crisi originata dalla pandemia è nei fatti una somma algebrica di crisi diverse, economica, sociale, sanitaria tra tutte. Questo sconquasso ha a sua volta prodotto una pulsione, che più volte ho chiamato “revanscista” o neostatalista. E che, a ben guardare, è rivolta ad un modello di Stato liberale, che ingabbia l’amministrazione nella rete dei vincoli con i quali garantisce il diritto del privato di provvedere autonomamente ai propri bisogni con i propri mezzi. E non piuttosto (come invece sarebbe stato auspicabile) verso un modello di Stato sociale, che interviene nel tessuto della comunità per rimuovere gli ostacoli al benessere del cittadino confrontandosi con le leggi dell’economia e del mercato.

Purtroppo, va riscontrato che neppure la cooperazione sociale, da sempre volàno di un partenariato pubblico-privato che potrebbe essere il veicolo più idoneo per superare i limiti del sistema pubblico, riesce a far sintesi. Pur volendo, non declina unitariamente la visione sociosanitaria e quella socioassistenziale della non autosufficienza.

In questo quadro, rischiamo così di non affrontare responsabilmente il tema cruciale della longevità, della cronicità, della non autosufficienza e della disabilità alla luce di quella che fin dagli anni ’90 è stata individuata come l’emergenza della riforma-quadro del nostro welfare.

Il sistema continua ad essere culturalmente, politicamente ed istituzionalmente quello che è: diviso tra filiere politico-amministrative, ciascuna delle quali con una propria visione dell’assistenza e con un distinto approccio prevalentemente riparatorio ai rischi dell’indigenza, alla perdita della capacità di lavoro, ai pericoli della malattia, a quelli della discriminazione e dell’emarginazione.

Tutte le proposte sul tavolo della Presidenza del Consiglio, specie quella della Commissione Paglia istituita dal Ministro della Salute, parlano con ragione di nuovo welfare dell’anziano, non solo della non autosufficienza o della disabilità. Si vuole un sistema assistenziale di prossimità centrato sulla domiciliarità, sull’umanità e sulla dignità. Un sistema che ruoti intorno ai bisogni assistenziali accertati della persona fragile ed offra un continuum integrato di interventi sociosanitari e socioassistenziali attraverso i quali la persona è curata sanitariamente garantendo la sua dignità e allontanando il rischio della sua emarginazione nella fase finale della vita. Chi può non condividere questi obiettivi?

Eppure le strade sembrano dividersi proprio nel momento clou della progettazione e dell’attuazione di questa necessaria rivoluzione copernicana. Ancora una volta la risposta, cioè l’ausilio al sistema, può essere rintracciato nella cooperazione. Che non è buona a prescindere, che non ha valore perché è tale. Ma che può rappresentare la terza via soltanto se diventa consapevole dei propri punti di forza, optando cioè per una visione di sistema fondata sulla propria lunga esperienza sussidiaria.

I cardini su cui articolare la proposta originano proprio da quell’esperienza consumata giorno dopo giorno nelle case di anziani e disabili, negli ospedali, nelle comunità alloggio, nei centri di riabilitazione. Penso ad alcuni in particolare che è meglio rendere espliciti.

Ad esempio, la visione dell’assistenza come servizio personalizzato e centrato sul bisogno della persona valutata unitariamente nelle sue dimensioni sanitarie e sociosanitarie e portato il più vicino possibile ai luoghi di vita. O l’affermazione del modello della domiciliarità dell’anziano non autosufficiente come paradigma assistenziale della non autosufficienza in quanto costruito sull’asse dell’ADI e della residenzialità sociosanitaria, incardinato nel distretto delle Aziende sanitarie ed inclusivo di una più che significativa componente sociale professionalizzata. O ancora l’accompagnamento della omogeneizzazione delle regole di arruolamento e di affidamento tra area sanitaria e area socioassistenziale. E certamente la promozione di modelli consortili in grado di organizzare filiere gestionali multidimensionali e multiprofessionali che offrano alla committenza pubblica l’apporto tecnico-professionale nella progettazione, nella programmazione e nella gestione dei servizi.

Noi siamo convinti che la cooperazione possa diventare, in questa fase della Storia, essa stessa il più grande servizio reso al Paese.

Giuseppe Maria Milanese

Panorama della Sanità – luglio 2022

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